ROMA (ITALPRESS) – Da Certaldo alla conquista del Continente. In una carriera con tanta gavetta, Luciano Spalletti le sue medaglie al petto le ha già messe. Nella bacheca dei trofei trovano spazio coppe e campionati, vinti in Italia e in Russia. Sì perché Lucio è stato anche zar di San Pietroburgo portando lo Zenit al titolo, ma la medaglia più luminosa, almeno per il momento, è quella che risplende sul golfo di Napoli. Un tricolore storico, roba che non si vedeva da quelle parti da oltre 30 anni. E dall’azzurro partenopeo a quello tricolore il passo è stato breve. Spalletti si è ritrovato alla guida della Nazionale dopo l’improvviso addio del Mancio. In pieno agosto, anzi a Ferragosto, con il precedente fallimento della seconda esclusione Mondiale consecutiva da cancellare e un Europeo prima da centrare e poi da difendere, visto che in Germania andiamo da campioni. Missione compiuta, ma non è stato facile. Il calcio di Spalletti è fatto di lavoro quotidiano sul campo. Maestro della tattica e del bel gioco, è il classico allenatore da club e gli è toccato indossare una nuova veste. Cerca, chiede, anzi pretende, qualità, talento e fantasia, ma il tutto per il collettivo, ben venga la giocata, ma mai fine a sè stessa. Senso di appartenenza, rigido rispetto delle regole, niente giocatori pigri o distratti, maglia sudata sempre e comunque, sentendo forte l’onore e l’onere dell’indossarla. Valori sì, ma niente inutili moralismi. Crede in Fagioli, sa che si è redento e lo ha voluto senza farsi influenzare da ‘quelli che ben pensano’. Poi ci sono i principi tattici: pressione continua, controllo del gioco, compattezza e studio degli avversari. Seguace della linea a 4, si è adattato alle caratteristiche dei giocatori a disposizione e ha disegnato una Nazionale fluida, capace (si spera) di cambiare modulo e sistema di gioco nelle diverse fasi della partite. Da Certaldo al vertice d’Europa, non per lui ma per l’Italia, perchè il primo tifoso azzurro è proprio lui.
gm/gtr
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