Expo, cassata siciliana: crocevia di culture
PALERMO, 11 MAR – Il trionfo di gola più conosciuto della tradizione siciliana si sposa con la cultura araba. La cassata siciliana, simbolo del piacere e dell’identità, raccoglie la sfida dell’Expo con un abito tutto nuovo. Nella presentazione del cluster biomediterraneo, all’Expo gate, al posto di arance, zucca e mandarini canditi, a guarnire la cassata sono stati i datteri giunti dalla Tunisia. Una contaminazione studiata per l’occasione, in omaggio alla sponda del Nord Africa. Ma molti ignorano l’origine propriamente araba della cassata siciliana, portata in dote da quella dominazione ma capace di arricchirsi delle successive rivisitazioni. La Sicilia è stata un crocevia millenario di popoli, civiltà e culture che hanno generato un’identità specifica, diversificata e complessa. Il clima mite, la fertilità dei terreni, la biodiversità vegetale e animale e la pescosità del Mediterraneo hanno ispirato eccezionali connubi di ingredienti.
La cassata (dall’arabo qas’at, “bacinella” e dal latino caseum, “formaggio”) nasce in Sicilia con gli arabi intorno all’anno Mille, nella tipologia “cassata a forno”. Due secoli dopo il cambiamento con le suore del monastero di Palermo La Martorana, le quali per far bella figura con il Papa abbellirono gli alberi spogli con i frutti realizzati con farina di mandorla e zucchero, i frutti di Martorana.
Al Re Federico II piacquero tanto e acquisì il diritto che l’impasto di mandorla e zucchero si chiamasse pasta reale, con la quale nasce la cassata “a crudo”: ricotta dentro e pasta reale fuori.
Tre secoli dopo gli spagnoli introducono la novità, il pan di Spagna. E successivamente aggiungono all’impasto di ricotta e zucchero, il cioccolato giunto dalle lontane Americhe con quella ricetta atzeca che sarebbe diventata il disciplinare di produzione del cioccolato di Modica. Ispirandosi al gran maestro degli stucchi secenteschi, il palermitano Giacomo Serpotta, i pasticcieri palermitani praticarono l’ “allustratura” del dolce, dove pasta reale e glassa di zucchero vengono modellati, adornati e dipinti come gli stucchi dell’oratorio del Rosario di Santa Cita a Palermo, uno dei capolavori realizzati dal maestro.
La storia si conclude – ma non è detta l’ultima parola – nel 1893 per opera del cavaliere Salvatore Gulì, pasticcere palermitano di corso Vittorio Emanuele 373, il quale mette su una fabbrica di canditi e ricopre la cassata con la sua frutta candita, ma raccolta nei giardini d’agrumi della splendida Conca d’Oro. Sarà Ignazio Florio, uno dei più grandi imprenditori siciliani, a notare il potenziale “espressivo” della cassata con la frutta candita, spedendola ai tanti e numerosi amici ai quattro angoli del pianeta, trasformandola in una dolcissima ambasciatrice dell’isola nel mondo.
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