Il fagiolo di Scicli, detto “cosaruciaru” ora guarda ai mercati del nord Europa e dell’Asia

SCICLI – (di Pinella Drago) –  Una piccola ellisse di colore bianco-panna con screziature marroni sull’ilo, tipicamente dolce e delicata nel sapore. E’ il “fagiolo cosaruciaru”, coltivato a Scicli piccolo comune della provincia di Ragusa nella terra calda di Sicilia che l’Unesco ha insignito del fregio di Bene del’Umanità.

Da due anni ha iniziato il suo percorso di prodotto di nicchia, corteggiato dai più attenti chef nazionali ed internazionali che ne creano piacevoli pietanze legandolo a pesci e carni. Caduto nel dimenticatoio nell’era dell’oro verde degli anni Settanta, piccoli ed ora anziani agricoltori nel dopoguerra avevano continuato nella tradizione di riservare modeste strisce delle loro terre per coltivare e raccogliere un prodotto che avrebbero usato in cucina nei mesi invernali per succulente zuppe arricchite da verdure e da tenere cotiche di maiale.

Una tradizione, fortunatamente mai perduta, che oggi si è rivelata vincente per una ripresa dell’economia agricola dei piccoli imprenditori terrieri. Una tradizione che, oltre che per il ricco barocco e per il commissario Montalbano di Andrea Camilleri, ha fatto ora assurgere Scicli agli onori delle eccellenze gastronomiche.

Dal 2012 è un Presidio Slow Food: oggi ed in futuro non sarà un prodotto di massa in quanto è legato, ma soprattutto vincolato, ad un disciplinare di produzione che ne autorizza la produzione e la commercializzazione solo alle aziende che fanno parte del Presidio e che sono costantemente sottoposte a controlli per assicurare l’alto indice di biodiversità proprio del prodotto.

Il “fagiolo cosaruciaru”, in dialetto pure “casola cosaruciara” amata dall’attore Marcello Perracchio che nella fiction del commissario Montalbano ricopre il ruolo del medico legale Pasquano, è stato il legume dei poveri.  Oggi è amato da chi predilige la cucina fine e delicata, dolce e non aspra. La sua richiesta è aumentata. Il mercato del nord Italia lo ha “scoperto” e gli si sta affezionando prova ne sono gli ordinativi che arrivano ai produttori tramite la piccola e la grande distribuzione ma anche dal mondo della ristorazione che, nel nord ma anche nel centro e nel sud Italia, lo presentano in menù sfiziosi, non comuni.

“In Italia è già conosciuto, siamo riusciti a farlo apprezzare nel suo sapore e nelle sue qualità organolettiche, stiamo lavorando per esportarlo e farlo conoscere ai mercati esteri – spiega Bartolomeo Piccione, uno dei produttori ed anima della rinascita di questo legume – è un prodotto altamente biologico e questo ci aiuta molto. Il seme di fagiolo, prima di essere confezionato, viene accuratamente selezionato a mano e pulito da ogni impurità con un trattamento a freddo al fine di escludere la presenza del tonchio all’interno del seme. Il prodotto lo abbiamo presentato, a più riprese, in occasione del Salone Internazionale del Gusto”.

Nel progetto di rilancio del “fagiolo cosaruciaru” ci hanno creduto la Sezione Operativa dell’ESA di Scicli (Sopat), della Unità Operativa Speciale n. 34 di Ispica e l’Assessorato Regionale delle Risorse Agricole e Alimentari. Il direttore della sezione sciclitana dell’Esa, Bartolomeo Ferro, convinto della bontà del percorso intrapreso sostenendo poche decine di produttori che si sono ritrovati in associazione: “intendiamo valorizzare la coltivazione in pieno campo di questo legume, riaffermare nel contempo una tradizione locale che sembrava scomparsa e fare in modo che diventi un’opportunità per gli agricoltori sensibili alla qualità delle produzioni e della conservazione della biodiversità – spiega il funzionario regionale – un apprezzamento particolare per il sapore delicato di questo legume, è arrivato dal professore Giorgio Calabrese, famoso nutrizionista, e questo non può che confermare il valore del prodotto. Una riflessione è d’obbligo – dice ancora – chi avrebbe mai immaginato che un legume, semplice e povero, il “cosaruciaru” di Scicli per l’appunto, avrebbe potuto portare all’attenzione internazionale il nome della nostra bella città? Il merito va, indubbiamente, ai custodi di questo piccolo tesoro. Ad agricoltori oggi ottantenni che hanno custodito i segreti di un prodotto che un tempo veniva venduto nei piccoli “alimentari” di quartiere e nei carrettini in giro per il paese a massaie specialiste nella cottura”.

Il fagiolo cosaruciaru è il frutto di una pianta non rampicante che ha due cicli produttivi, uno primaverile ed uno autunnale; i semi vengono prodotti dagli stessi agricoltori. Sul mercato lo si trova al prezzo di 16,50 euro al chilogrammo ma anche in confezioni da 500 grammi al prezzo di 8,25 euro e di 300 grammi al prezzo di 5,50 euro. Gustarlo, nelle antiche ricette delle semplici e tradizionali zuppe ma anche nei connubi con carne e pesce, è un rito sia nella “tavola” ricca che in quella povera.

Già timidamente conosciuto in Germania, in Svizzera ed in Francia il mercato dell’esportazione guarda con interesse ai paesi asiatici ed a quelli del nord Europa utilizzando le “piazze” dei saloni del gusto e la rete del Slow Food. “E’ un momento delicato, dal punto di vista economico e commerciale, per la crisi cocente in atto ma crediamo di essere riusciti ad attrarre l’attenzione sul nostro prodotto per il suo alto valore biologico e nutrizionale e, quindi, siamo fiduciosi nell’arrivo di nuove commesse – è l’auspicio di Bartolomeo Piccione – il mercato nazionale l’abbiamo conquistato anche grazie ad una campagna promozionale che ha toccato l’intera penisola. Ora non ci rimane che quello estero, sul quale stiamo lavorando mettendo le forze di tutti; siamo fiduciosi che il sapore dolce e delicato convincerà anche questo mercato, lontano nelle distanze ma vicino nella ricerca di prodotti genuini. Il fatto che la produzione è contenuta ci aiuta, di certo, a selezionare la nostra proposta ed a soddisfare le richieste degli acquirenti”.
Pinella Drago

Redazione

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